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EDUCAZIONE DELLA VOCE  *

     

 

     Non vi è ragione che possa escludere l'insegnamento del canto dalla tutela di quelle norme pedagogiche le quali proteggono tutti gli altri rami dell'istruzione primaria. Anche qui, dal noto all'ignoto e siccome il noto per i ragazzi è il canto da strapazzo, mentre l'ignoto è un canto che deve poter rispondere a fini fisici, intellettuali ed estetici, cui mira la scuola, per giungervi noi sceglieremo la via più facile, che è quella dell'osservazione.
   E'così come non si fa imparare un brano di autore a' ragazzi che ancora non sono esercitati a ritenere un raccontino di tre righe, nè si pretende che sappia riprodurre una foglia chi non sa nettamente disegnare una curva, per insegnare a cantar bene non ci metteremo in mente di far istudiare una canzone, perchè i difetti del canto non si correggono poi con le prediche e le raccomandazioni.
  La canzoncina, ossia un concetto melodico deve apparire a chi insegna il canto come una figura al disegnatore, l'applicazione cioè di un breve complesso di norme, entrate nella convinzione dell'alunno per via di confronti e di esercitazioni. E poiché abbiamo detto confronti, citiamone uno: il fanciullo ha l'idea del suono e sa distinguere suono da rumore e un suono dall'altro, compreso quello della voce umana. E' sufficiente per lui questa cognizione intorno al suono e alla voce? O non è meglio fargli notare, anzi fargli sentire che vi hanno suoni belli e suoni brutti, la bella e la brutta voce?   L'esperimento si può fare con vari strumenti, ma chi non ne potesse disporre, potrebbe limitarsi alla prova vocale, senza dubbio la più efficace.

Esercizio pratico. - L'educatrice dia pure saggio con la sua voce, di suoni aggraziati e sgraziati: faccia udire la voce rotonda e la voce stridula. Da questi confronti sul colore della voce i bambini intuiranno che dei modi di cantare ce n'è due: uno che piace, e l'altro che non piace. Per quale motivo?


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La posizione della bocca e il perché della bella voce

   Giunta a questo punto, l'educatrice ha trovato il momento opportuno per dare la nozione della compostezza, e far intendere come questa sia condizione indispensabile per emettere suoni aggraziati e piacevoli.

Esercizio pratico --- " Vedete " (dice l'educatrice. " se io canto colla bocca spalancata, il suono esce così : (troppo aperto); se stringo i denti, il suono si forma in altro modo: (troppo chiuso): se invece apro la bocca convenientemente e procuro di non alzare la lingua, allora il suono esce

dolce, pieno, senza impeto, piacevolissimo. Via, provi uno di voi».
  L'educatrice indica al bambino la posizione corretta, e ogni volta che il suono esce domanda agli altri bambini «Vi piace?».

 

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COLORE DELLA VOCE, O TIMBRO

  Qui pertanto è strettamente necessario aprire una lunga parentesi, per chiarire in che consista il segreto del canto gentile.
  Il canto umano si appoggia esclusivamente sulla vocale: se la parola fosse composta di sole consonanti, il canto non sarebbe possibile, poiché nessuna lettera dell'alfabeto, ad eccezione delle vocali, è fatta a far vibrare l'organo della voce; si può anzi dire con certezza che, mentre la vocale pronunciata isolatamente produce suono, la consonante isolata dalla vocale produce rumore.
  Viceversa, la consonante unita alla vocale acquista il pregio di rafforzare la vocale stessa e di dare vaghezza e accentuazione alla parola.
  Da ciò si comprende quanta importanza assuma nel canto lo studio fisiologico della voce in rapporto alle vocali e alle consonanti.

 

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LE VOCALI

  A noi basti sapere che le cinque vocali della nostra lingua, a motivo della loro diversità fonetica danno origine a tre timbri diversi; ordinario, chiaro, scuro.
  Il timbro ordinario trova il suo limite massimo nella vocale "a"; il timbro chiaro, nella vocale "i"; il timbro oscuro nella vocale "u".
  Per ottenere il timbro ordinario, (ossia la vocale "a"), l'organo vocale deve vibrare nella sua posizione naturale; rialzando invece il dorso della lingua e abbassando il velo palatino, si ottiene il timbro chiaro (ossia la vocale "i"), infine, abbassando il dorso della lingua e foggiando l'apparato orale in guisa che il velo palatino venga spinto indietro e le labbra quasi si accostino con leggera prominenza in avanti, si otterrà il timbro oscuro (ossia la vocale "u").
  A quale di questi timbri si dovrà dare la preferenza? A nessuno dei tre. Dovremo dunque tralasciare di occuparcene per concedere all'organo della voce, di produrre a piacimento, l'uno o l'altro timbro a seconda delle voceli che ogni sillaba gli pone davanti?
  Tutt'altro! A che gioverebbe allora che noi chiamassimo il nostro -- canto educativo? -- Su questo punto, che parmi doversi considerare il più importante nella breve trattazione del nostro tema, bisogna che c'intendiamo subito e bene.
  Facciamo tosto del canto queste tre distinzioni: il bel canto, o canto artistico, il canto educativo, o canto gentile; il canto volgare.
  Lasciamo al canto artistico lo studio accurato (sia teorico che pratico) della formazione della voce, dell'origine fisiologica di ogni singola vocale e consonante, della neutralizzazione dei timbri, della fusione dei registri, dei vari generi di respirazione, ecc. *
   La scuola del canto corale educativo mira a scopi ben più umili, ma tali però, e di questo ricordiamoci sempre, che mentre distolgono l'alunno dal canto volgare gli offrono la possibilità di sentire, di produrre e di desiderare il canto quale manifestazione di grazia e di sentimenti gentili.

 

   Questi risultati però non si ottengono se la scuola non insegna al fanciullo il modo di procurarsi l'elemento principale, il quale, dopo l'intonazione, si rende necessario per saper cantare con voce educata: il timbro.
  Orbene, questo elemento si ottiene con un solo mezzo, col neutralizzare cioè il timbro che caratterizza le singole vocali, in modo che ciascuna, sacrificando quell'eccesso di chiarezza o di oscurità che la rende tanto opposta nell'effetto vocale ad alcune altre, ne risulti un timbro, se non unico, omogeneo.
   Questo significa dare colore alla voce.  È difficile a ottenersi tale risultato?
Diciamo subito no, se si tratta dei bambini; se poi si tratta dell'insegnante, la cosa cambia aspetto.   Potrà tornare difficile per chi impartisce il canto senza avere nozioni sode intorno a questa disciplina; lo sarà per chi preferisce il canto da strapazzo, per chi non gusta la soavità della musica eseguita con un certo garbo; insomma, per chi non è nato coll'attitudine a questo insegnamento.     

  Ma quali difficoltà non tenta di superare chi vi si dedica con entusiasmo? È la passione stessa per il canto che gli suggerisce i mezzi più adatti a rendere chiare le percezioni ai piccoli alunni.
  Neutralizzare le vocali per noi deve avere questo significato: far intendere, fin dove si può, che la rotondità della voce è subordinata a un atteggiamento speciale della bocca, di facile attuazione, il quale richiede, da parte dell'alunno, non già sforzo muscolare o mentale, come forse taluno potrebbe supporre, bensì un po' di costanza per rendere abituale questo atteggiamento. Per conseguenza sarà utile fargli nettamente sentire, in modo piuttosto esagerato perché la diversità del timbro si affermi nella mente del fanciullo, l'effetto che si ottiene cantando sull' "a", sull' "i", sull' "u".   L'educatrice, pertanto deve sapere che la vocale "a", la più naturale perché presenta maggiori facilità foniche, specialmente nella produzione dei suoni medi, concedendo essa ai muscoli della bocca di sbizzarrirsi in comodi atteggiamenti, è quella che caratterizza il timbro aperto, sgolato, volgare del canto popolare da strapazzo: che la vocale "i", promovendo con facilità i suoni acuti genera, in chi canta senza il più elementare concetto di educazione vocale, un timbro schiacciato e per nulla piacente come lo è l'atteggiamento delle labbra che lo producono; poiché difatto cantando sulla "i", con una certa intensità, noi stringiamo i denti mentre gli angoli della bocca si allontanano: che la vocale "u", opportuna nella produzione dei suoni gravi, richiede che le labbra si atteggino a una lieve sporgenza, dando così origine a un timbro cupo, il quale però acquista pregio quando chi canta ha l'avvertenza, di evitare che esca con inflessioni nasali.
  Rivolgiamoci ora questa domanda: qual è il timbro che maggiormente caratterizza il comune modo di cantare? È il timbro ordinario, vale a dire la tendenza ad atteggiare la bocca come richiede la naturale vocalizzazione dell' "a" aperta: questa tendenza abitua l'apparato orale ad aprirsi sconvenientemente. Il canto sgolato è il peggior canto di cui si possa dar saggio, checchè ne dicano coloro che nutrono poca simpatia per il timbro oscuro. Eppure a correggere il difetto del timbro ordinario, e del timbro eccessivamente chiaro è proprio necessario ricorrere alla posizione che dà per risultato l'effetto opposto.
  E così, concludendo, diremo: che la vocale "u" (u toscano) per quanto cupa è la più adatta, specialmente se fa sillaba colla consonante "m", per far intendere al fanciullo la vera posizione dell'organo vocale nella produzione dei suoni che debbono avere risonanza nei seni nasali e frontali (note di testa).
   Mediante questo semplicissimo mezzo, ossia insegnando a produrre i suoni acuti appoggiando la voce sulla sillaba "mu", il fanciullo è assolutamente in grado di capire che per ottenere questi suoni è necessario spingere l'aria e la voce in su, (come egli stesso si esprime), e che da questo atteggiamento la voce acquista un colore delicato che altrimenti non potrebbe avere vocalizzando o sillabando su vocali e sillabe aperte.
   Dopo alcuni ripetuti esercizi sul colore della voce, il fanciullo che sia sempre consigliato dall'educatrice, senza quasi avvedersene va neutralizzando per forza di abitudine, anche le altre vocali: così, la vocale "i" perde della sua chiarezza per avvicinarsi all'"u" lombardo; la vocale "a", pur conservando la sua fonazione, esce con un'apertura della bocca assai discreta, e così dicasi dalle altre vocali le quali vanno subordinandosi allo scopo, cioè al colore della voce.
   È l'assenza di questo esercizio che impedisce all'organo vocale dei fanciulli d'intonare le note della scala che vanno oltre il "la" in secondo spazio, specialmente se vocalizzate su vocali aperte quali la "a" e la "è". Non è forse penoso sentire lo sforzo che accompagna le note stonatissime che vengono di poi, inutilmente cercate nell'ugola con crescente apertura della bocca?

 

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NORME PRATICHE PER LA FUSIONE DEI REGISTRI

  La voce, quando oltrepassa il fa (1° spazio), può facilmente assumere il timbro sgarbato o il timbro dolce a seconda che impara a risuonare in bocca o nel petto. Ci troviamo davanti al punto critico dell'educazione vocale, ma colla pazienza e un po' di buon volere si vince ogni difficoltà.
  Prima norma: far cantare con voce leggerissima. Seconda norma: trovare una sillaba che conceda ai muscoli della bocca un atteggiamento che sia consono al movimento che deve fare la laringe quando sta per produrre un suono risuonante nell'apparato orale. Gli è appunto in questo caso che l'educatrice, per mezzo di confronti, deve far capire la diversità che corre fra un suono emesso con vocale troppo aperte e un altro che sia accompagnato da vocale chiusa.
  In questa dimostrazione, oltre che la posizione delle labbra giovano a rendere chiara la percezione del cambiamento che devesi imporre alla posizione della laringe, alcune espressione intuitive del fatto fisiologico che sta per compiersi.
  Si dica al bambino: « Spingi la voce verso il naso. - Spingi l'aria in su, verso la testa -. Così facendo, si fa la voce di testa. - Guardami, io sostengo la voce colle labbra. - Non lasciar cadere la voce. - Non cantare in gola. - Spingi in alto - ». Se l'educatrice ha in sè tanta facoltà da far intendere al fanciullo in che consista cavare suoni dalle fosse nasali e dalla testa, anziché sempre dal petto, può stare sicura d'aver superato i tre quarti della fatica che si rende indispensabile a che bene insegna il canto.
  Da principio i bambini dimenticheranno, lì per lì, la corretta positura della bocca; non s'inqueti, l'educatrice, né si sfiati davvantaggio. Fra i tanti scolaretti non sarà difficile trovarne almeno uno che si distingua per naturale disposizione a formare suoni vocali corrispondenti al suo desiderio.
  Quest'uno lo faccia notare ai condiscepoli e, non già colle lodi esagerate, ma con la semplice, sobria espressione: « Questo fanciullo mi ha ben intesa » invogli gli altri ad imitarlo.
   In seguito, quando l'educatrice avrà bisogno di rammentare agli scolaretti il colore della voce (nei primi mesi di esercizio questo avverrà sovente), abbia a sua disposizione una parola d'ordine, che per essi debba esprimere la somma di piccole norme riguardanti la posizione di tutta la persona ma specialmente della bocca. Questa parola d'ordine sarà: - testa! - Ovvero: - voce rotonda - !
  Nei passi difficili di una melodia, ove io mi aspetto che i bambini tenderanno a diminuire il tono, a tempo opportuno soglio lanciar loro la parola d'ordine - testa! - la quale è sufficiente a metterli in guardia.
  E questa parola va, a poco, a poco, entrando così fortemente nel loro cervello col significato che esprime, che non di rado accade, durante i giuochi liberi, o per le scale, udire fanciulletti che ammoniscono con essa qualche piccolo cantore il quale, a parer loro, non emette la voce secondo il desiderio della maestra.

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DELLA COMPOSTEZZA

   Lasciamo che l'orecchio infantile si diverta a ricevere l'impressione di suoni gradevoli, (l'educazione in ciò non perde tempo e approfitta di tutti i momenti opportuni per deliziare il fanciullo col suono e colla sua voce intonata), e la sua piccola bocca tenti di adattare i suoi muscoli alla posizione che favorisce la bella voce emettendo liberamente suoni o imitando l'educatrice; e parliamo intanto della compostezza, preparandoci a formarne un'abitudine anche nel fanciullo.
   La scorrettezza del portamento sta sempre male, ma osservata in chi sta cantando è addirittura insopportabile.
   Fra i dilettanti di canto non è difficile fare una raccolta di abitudini antiestetiche, ad esempio: il dimenare la testa, movere ritmicamente un ginocchio, mettere le mani in tasca, stringere i pugni, fare smorfie con gli occhi o colla bocca, mordersi le labba nei momenti di respiro, e via di seguito.
  I ragazzi, tutte queste trovate volgari e civettuole non le conoscono, tuttavia sanno meravigliosamente inventarne altre, le quali si possono rissumere in movimenti d'irrequietezza e sguaiataggine: questi difetti, se non sono repressi a tempo, dànno facilmente adito a quelli accennati poc'anzi.
  Non vogliamo l'immobilità, che nei fanciulli sarebbe una pretesa fuor luogo, ma quella certa proprietà nella persona, quel certo garbo che in chi ascolta e osserva fanno pensare al legame che passa fra l'espressione di quelle personcine e la melodia che stanno cantando.
  Una compostezza seria, che dinoti rispetto per la musica, quello stesso rispetto che poi si esige dagli scolari per tutti gli altri rami dell'educazione. Ma non si fa solamente questione di estetica; la voce, l'intonazione attingono efficacia grande dal modo di tenere la bocca, il capo, le spalle, e, dicasi, tutta la persona.
  Quindi sono abolite, per chi vuol cantare bene, tutte le posizioni arbitrarie. Nessun scolaro deve
contorcere i collo, nè allargare le gambe, nè metterne una a cavallo dell'altra, nè voltarsi di qua e di là ... . La persona deve mantenersi diritta, a piombo sulle gambe, il viso atteggiato alla naturalezza, la bocca semiaperta, con tendenza alla rotondità, come avviene quando si pronunzia la sillaba "mo".
Di altri particolari relativi alla posizione più adatta per ben cantare è superfluo tener parola ai ragazzetti; contentiamoci che ci seguano nell'indispensabile.
Una posizione pratica, perchè oltre che essere di riposo agevola l'emissione della voce e del respiro, a motivo che permette alle spalle di stendersi, consiste nel far mettere i fanciulli colle braccia in seconda.

 

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LA RESPIRAZIONE

«Chi ben respira, bene canta». È necessario che l'educatrice raccolga l'attenzione dei bambini sul fenomeno della respirazione e illustri con delle prove l'entrata e l'uscita del nostro fiato.
Esercizi pratici. - Accenda una candela, aspiri una buona quantità di aria e quindi, mettendo la bocca davanti alla fiamma, la faccia uscire. Finché i polmoni conterranno aria, la fiammella oscillerà; quando l'aria sarà esaurita, resterà immota.
Non basta. I fanciulli sappiano, per lo stesso mezzo, che la durata dell'espirazione (coi bambini non si usino questi vocaboli difficili) è in ragione diretta colla quantità d'aria che noi inspiriamo; più l'inspirazione è profonda e calma e maggior vantaggio ne risentono i polmoni.
L'educatrice proponga il seguente esercizio prima lo eseguisca ella stessa, per bene.
Esercizio. - Faccia alzare i bambini, ordini che le braccia vadano in seconda, insegni a tenere la testa diritta, le gambe diritte e non soverchiamente vicine; insomma, una posizione ginnastica senza rigidezza.
Ad un segno della sua mano, faccia attaccare con bocca semiaperta, la presa del fiato, profonda, senza scosse, senza singulti, senza alzata di spalle; e l'educatrice segua quast'atto alzando gradatamente il braccio fino a toccare un punto stabilito da prima cogli scolari. Da questo punto discendano insieme, loro emettendo, ricacciando, cioè, il respiro, ella con la mano, gradatamente, fino a toccare il punto di partenza. Qui li faccia sostare alquanto, eppoi riprenda l'esercizio.
Li provi individualmente e collettivamente, e quando è sicura che si sono impossessati della doppia azione del respiro, faccia ripetere questo esercizio, tre, quattro, cinque volte di seguito, me sempre adagio, evitando gli sbalzi.
In seguito, ella potrà dire semplicemente: «fiato!» e fare poi cenno, a tempo opportuno, di ricacciare l'aria all'esterno.
Per assicurarsi che tutti agiscono senza fretta, chiami ora questo, ora quel bambino a fare esperimenti davanti alla fiamma della candela; sarà una prova gradita che tutti cercheranno di meditare.
Non si stanche, l'educatrice, di perseverare in questo esercizio: lo faccia eseguire tre o quattro volte al giorno, per pochi minuti: ne risentirà più tardi i vantaggi insegnando il canto; ma indipendentemente da questo scopo, lo consideri altresì come una salutare ginnastica degli organi respiratori, da praticarsi anche lungo tutto l'anno. Però noti una circostanza, che è di primo ordine: questo esercizio, come quello del canto, richiede che l'ambiente sia puro.

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EMISSIONE DELLA VOCE

L'educatrice, dopo che i bambini hanno compreso in che cosa consiste far entrare ed uscire l'aria producente la respirazione, ripeta pure il piccolo esperimento della fiammella per far inoltre osservare quale delle due azioni accompagna la emissione della voce.
Impari il bambino a bene associare la voce al respiro, in modo che di questo non vada sprecata la benchè minima parte. L'abitudine di sprecare il respiro, ossia di non trarre tutto il profitto che da esso richiedono il canto legato e il valore dei suoni vocali nei tempi posati, è, si può dire, generale in coloro che si dilettano a cantare senza conoscere le più elementari cognizioni intorno al canto.
Tutti questi convengono che la voce è in istrettissima relazione con la funzione polmonare, ma quando essi devono usare di questi e di quella, si trovano in perfetto disaccordo colla scuola: questa esige anzitutto l'educazione del respiro e la subordinazione della voce a questo: i facili cantori invece trovano più comodo subordinare il respiro alla voce.
Una buona respirazione, pertanto, è la base sicura di una buona messa in voce, come una buona messa di voce è il controllo di una buona respirazione. Si potranno fare, a questo proposito, degli utili esperimenti.
Esercizio. - Alla presenza degli scolari, l'educatrice respiri profondamente come ha loro insegnato, e, giunta al principio dell'espirazione, pronunciando la vocale "a" emetta una voce chiara, ma non troppo forte e la prolunghi sino a respiro finito. La bontà di questo suono sta nella durata, nell'eguaglianza e nella facilità che l'organo vocale rivela nel produrlo.
All'opposto, respiri un'altra volta e, prima di produrre il suono, spinga dalla gola una parte di respiro : la durata dell' emissione vocale sarà meno lunga. Respiri in fretta ed in fretta, scattando, ripeta il suono vocale: uscirà esso sgarbato e stonato. Ritorni alla prima prova, ne faccia risaltare i pregi e procuri di farsi imitare.


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LA SELEZIONE

Quando l'educatrice, mediante questo esercizio avrà fatto acquistare a' suoi scolari l'abitudine di economizzare il respiro per poter produrre dei suoni distesi e uguali, senza fatica, avrà fatto dei lunghi passi sulla via del canto educativo: e mi affretto a dire questo perch' io so di certo che, giunta a questo punto, ella si sentirà più che mai scoraggiata dell'opera sua. Non le parrà affatto vero che quelle voci si vadano educando. E dirà: va bene che i miei fanciulli sappiano produrre colla voce dei suoni lunghi ed uguali, ma quell'unico suono che emettono e ancora così poco bello ch'io ne sono avvilita.
Ha ragione; non le ho ancora detto ciò che si deve fare per renderlo piacevole.
Io dovevo insegnarle da tempo a fare ne' suoi scolaretti una selezione, la quale in fatto di canto si rende indispensabile; ma gli è che la pratica ha insegnato a me pure di non avere in ciò troppa fretta. Intendo parlare di quei fanciulli che nascono privi delle doti necessarie per apprendere e produrre suoni musicali. La mancanza o anche la sola deficienza d'intonazione è il più grave scoglio che s'incontri nell' apprendimento del canto.
L'insegnante il quale permette che nella scuola una voce stonata si unisca ai compagni nell'esercizio collettivo del cantare, commette un errore pedagogico così grave che la metà basterebbe per dargli una patente d'inettitudine educativa.
Gli esercizi di respirazione o di messa di voce hanno dato tempo agli scolari di prendere confidenza coll'ambiente e all'educatrice di vigilare e accertarsi sul grado della loro intonazione.
A mezzo di uno strumento bene accordato, e modellando la voce del bambino sulla propria se questa ha doti sufficienti, l'educatrice compie, senza apparato, una breve prova generale, individuale, delle voci, ne tiene nota, e la ripete qualche giorno appresso.
Da questa prova risulteranno tre gruppi: gli abili, gl'incerti, gl'inetti.

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I TRE GRUPPI

Si eserciti il primo gruppo da solo e il secondo ora simultaneamente al primo, ora separatamente, a seconda dell'opportunità dell'esercizio.
Il terzo, non solamente non si deve privare dell'esercizio uditivo, come altrove si è detto, ma dovrà ancora prendere parte attiva a tutti quegli esercizi ove non entra a far parte l'emissione della voce. Difatti, non vi sarebbe motivo plausibile per escludere questi bambini dall'esercizio della respirazione, della pronuncia, del ritmo, della declamazione: non è detto che chi possiede qualità refrattarie al suono e al canto non sappia gustare la musica come e quanto la può sentire chiunque va fornito di doti musicali. Forse che per comprendere e gustare un poema è necessario essere poeta?
La natura e l'educazione si aiutano a vicenda nello schiudere l'anima umana al sentimento del bello. Quale mezzo più suggestivo della musica per ricordarci che al di sopra della vita materiale l'anima nostra può purificarsi al contatto del bello ideale? La musica non è soltanto gioia di chi la produce, me è ancora gioia e contento di chi la sa ascoltare con orecchio umano.


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DOPO LA SELEZIONE

Oramai l'educatrice si trova davanti un elemento più omogeneo, il quale le permetterà di iniziare l'educazione della voce; prima sarebbe stato impossibile. Faccio qui pertanto notare che gli esercizi fonici si fonderanno cogli esercizi vocali, perché la serie di questi permette che ne ritragga beneficio tanto l'orecchio, quanto la voce.
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NOTA. - I bambini che non cantano potranno assistere all'esercizio stando seduti, ma composti e silenziosi per non disturbare: quando però occorresse di far accompagnare il canto con movimento ritmico della mano, (specie nei tempi di marcia), tutti i bambini eseguiranno il movimento attenendosi a una medesima posizione.


DEL CANTARE LEGATO

Dopo aver provveduto al timbro della voce, è bene che l'educatrice rivolga la sua attenzione a impedire che i bambini prendano la cattiva abitudine di cantare staccato. Quanto il legare i suoni fra loro, a seconda che lo comportano le frasi e le parti di frase, aggiunge bellezza ed efficacia al canto, altrettanto lo staccarli rende la melodia sgraziata e insignificante.
S'incontrano nella musica dei passi ove l'esecuzione staccata si rende necessaria a esprimere il pensiero dell'autore, ma sono rari: si noti poi che i ragazzi, generalmente, hanno già in natura la tendenza a slegare i suoni.
Viene allora opportuna questa domanda: è più difficile legare o staccare?
Ecco, lo staccato non si potrà mai eseguire con intonazione sicura se prima i suoni della scala non avranno trovato nell'organo vocale la posizione che loro spetta; risultato che non si ottiene se non coll'esercizio delle note prolungate e del canto legato.
Il primo esercizio di legatura non dovrà oltrepassare due suoni e, per andare dal facile al meno facile, noi prenderemo da prima due suoni uguali.
Esercizio pratico. - Si proponga di far riprodurre due "mi" in terza riga, uniti fra loro dalla legatura. Si fa pronunciare il primo "mi" con una sillaba facile (ta) e quindi il secondo, pure colla stessa sillaba senza staccare la voce.
Durante l'esercizio, l'educatrice segue con la mano la durata dei due suoni.
Ripete, cambiando sillaba. Poi fa sottoporre ai due "mi" la parola mam - ma, la quale, grazie alla doppia consonante che lega le due sillabe, facilita il prolungamento della voce fra i due suoni. Se l'esercizio si ripete più volte, resta sott'inteso che dopo la legatura si dovrà riprendere fiato; dopo, non già durante l'emissione dei suoni legati.
Quando i bambini sapranno portare con sicurezza la voce sopra due o più suoni uguali, si potrà iniziare la legatura sopra due suoni a distanza d'intervallo.


DELLA PRONUNCIA

Chi non ha avuto la sfortuna di dover subire una recitazione dove le parole si susseguono mutilate, indistinte da pause, come se un ago tutte le infilasse alla rinfusa, mano mano che si presentano sulle labbra dello sciagurato attore in erba? Non è forse un tormento quello che si prova quando uno legge o recita in presenza nostra, senza alcun riguardo all'accentazione di ciò che intende esprimere? Eppure nei giardini d'infanzia e in qualche scuola elementare questi difettacci o non si notano, o vengono corretti assai blandamente.
" Tira il fiato! " ammoniva una maestra a una sua alunna che, in presenza delle tirocinanti, mentre recitava un brano di non so quale prosa, aveva le gote infocate da far quasi temere uno scoppio interno. La poveretta diceva, diceva, diceva, senza mai respirare.... Che bravura poter recitare la lezione d'un sol fiato! Al richiamo dell'insegnante, però, la scena si cambiò: la fanciulla cominciò a respirare a brevissimi intervalli, spezzando parole e sillabe, anzi inghiottendole talvolta, nell'atto dell'inspirazione, dando in tal modo saggio di un altro difettaccio, comunissimo, del resto, sì nelle scuole che nel nostro canto popolare.
Gli esercizi di canto sillabato e vocalizzato, mantenendo in continuo esercizio i muscoli della bocca, fanno sì che la parola esce chiara, spontanea, senza strisciamenti, né fratture.
È assolutamente necessario che il discente impari a conoscere la parola nella sua unità e nelle sue parti. Finché l'orecchio non si abitua al distacco di una parola dall'altra, all'indipendenza, diremo così, di ciascun membro della frase e all'assoluto legame dei membri della parola, avremo sempre degli scolari che non sapranno né parlare con garbo, né respirare a tempo.
L'esercizio della lingua parlata va iniziato nel primo periodo e l'educatrice lo rende divertente mediante la presentazione di oggetti. Non sarà necessario dire che, avviando l'esercizio ortoepico l'educatrice deve tener calcolo della difficoltà che il bambino incontra nella pronuncia di alcune consonanti, nonché di molte sillabe. Partendo da monosillabi comuni, eserciti i piccini sulla pronuncia della vocale e del dittongo: passi poi alle parole bisillabe, facili e piane; alle trisillabe, pure piane: alle doppie consonanti; alle parole lunghe, piane; alle sdrucciole; alle tronche; alle parole con diagrammi.
Nel secondo periodo faccia pronunciare, isolate, sillabe complesse, sillabe miste e composte; insegni a parlare, staccando una parola dall'altra.
Nel terzo periodo dia l'idea dello smembramento della parola in sillabe; si assicuri che i bambini sanno distinguere una parola dall'altra; insegni loro a pronunciare correttamente delle frasi con speciale riguardo all'accentuazione: li corregga ogni qualvolta parlano in fretta, a svantaggio della chiarezza, o quando non pronunciano per bene qualche consonante.
È noto come ogni regione abbia un corredo di speciali difetti propri di pronuncia e di articolazione. Non sarebbe qui difficile citarne un bel numero, ma sarebbe lavoro inutile, quando abbiamo studiosi che già si occupano diligentemente di questa materia. Tra questi, (per citarne uno), il prof. Giacoletti pubblicò fino dal 1850 un eccellente opuscolo " Sull' uso della lingua e della pronuncia italiana ".
Non posso però tacere di alcuni difetti del genere, veramente insopportabili, comunissimi specialmente nei paesi della Lombardia: e cioè, la pronuncia della "s" in sostituzione della "z"; (nassione anziché nazione); la sostituzione dell' "o" aperta all'"a" finale; (mammò anziché mamma, bellò invece di bella); e la sbagliata accentuazione di alcuni dittonghi.
A proposito di questi ultimi, riporto quanto dice il prof. L. Rossi nel suo vecchio ma sempre utile " Metodo pratico di canto corale ".
" Sonvi tre specie di dittonghi: 1. quello in cui la prima vocale predomina ed assorbisce la seconda, come: in "ei" di vorrei; 2. quello in cui all'incontro la seconda predomina ed assorbisce la prima, come, in "quan" di quando. 3. quello in cui le due vocali hanno quasi la stessa importanza, come in "Dio", "tuo", "suo", e simili.
La terza specie di dittonghi si pronuncia come se la nota che lo accompagna fosse divisa in due e queste fossero appropriate una alla prima e l'altra alla seconda vocale del dittongo.
Bisogna quindi schivare il difetto di trasportare l'accento dalla prima alla seconda vocale, e dire per esempio : Diò in vece di Dio, tuò invece di tuo.


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* Oltre il citato volume di P. Guetta, vedasi, a questo proposito: "Arte e tecnica del canto" di G. Magrini. Manuali Ulrico Hoepli. L.2. 





* si ringrazia  il Prof. Lucio Imbriglio, insegnante di Musica della scuola media di Teano , per la gentile collaborazione prestata alla realizzazione della presente pagina Web.

 

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