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il  PIANOFORTE

l'invenzione del pianoforte

     Verso la fine del XVII°  secolo le condizioni dell'arte musicale erano diventate tali che il vecchio clavicembalo, dai piccoli suoni fuggenti, non bastava più alle nuove esigenze.     

   Si sentiva ormai la necessità di uno strumento più ampio e possente, che rendesse sonorità maggiori e le graduasse  e che, all'occorrenza, valesse a riassumere e a sintetizzare l'orchestra.

   Fu Bartolomeo Cristofori (1655-1732), padovano di nascita e reputato costruttore di clavicembali ad inventare l'auspicato e desiderato strumento.

 

primo pianoforte di Bartolomeo Cristofori 

(nato a Padova  il 4 Maggio 1655 era al servizio di Ferdinando dei Medici in Firenze come "conservatore degli strumenti musicali".)

   La nuova invenzione si basava sulla sostituzione dei saltarelli del clavicembalo con martelletti, indipendenti dai tasti e mossi da una contro-leva a bilancia avente due movimenti, uno anteriore che spingeva in alto il martelletto inviandolo a percuotere la corda ed uno posteriore che faceva calare lo smorzo attaccato all'altra estremità della contro-leva, restando così libera la corda da poter vibrare al colpo del martelletto. Cessata l'azione del tasto, avveniva naturalmente il contrario: cioè ricadeva il martelletto e, invece lo smorzo tornava in su, raggiungendone la corda e facendone cessare le oscillazioni. 

meccanica del Cristofori  

 

   Cristofori per evitare che il martelletto, percossa la corda, vi si fermasse ostacolandone le vibrazioni, vi applicò una molla che lo faceva ricadere subito su se stesso e che si chiamò scappamento.  Cristofori stesso inventò anche il sistema dello spostamento della tastiera, in virtù del quale il martelletto percuoteva una sola corda anziché due e corrispondente quindi al moderno Pedale del piano. 

  Il costruttore padovano, che nelle sue ricerche era stato mosso più che altro al concetto di modificare il clavicembalo in modo da ottenere la graduazione delle sonorità, dette allo strumento da lui inventato il nome di "Gravicembalo col piano e col forte", da cui per brevità deriva il moderno e meno esatto nome di pianoforte che fu anche preceduto da quello di forte-piano   

 

LA MECCANICA VIENNESE      e      LA MECCANICA INGLESE

 Due principi differenti per la costruzione dei pianoforti si sono sviluppati e conservati fino alla nostra epoca : la meccanica tedesca , o viennese, e la meccanica inglese.  Benché Cristofori avesse concepito, fin dal 1726, basandosi sul principio che sarebbe divenuto quello della meccanica inglese, un meccanismo straordinariamente perfezionato , che permetteva un tocco sensibile e preciso in una abbastanza estesa gamma di sfumature, fu la meccanica viennese inventata verso il 1770 da Johann Andreas Stein, a permettere per prima di creare uno strumento che rispondesse a tutte le esigenze. In una lettera dell'ottobre 1777,Mozart si dichiarò entusiasta dei pianoforti di Stein.  Erano gli strumenti preferiti dai musicisti classici viennesi, che apprezzavano il loro tocco leggero e delicato. Permettevano di conservare il telaio e le corde utilizzate fino allora, mentre la meccanica inglese, più sonora ed energica, esigeva una maggiore resistenza e tensione delle corde, quindi un telaio rinforzato, martelletti più pesanti ed una escursione più lunga. Lo sviluppo di questa meccanica doveva condurre al pianoforte moderno. Nella meccanica viennese il martelletto è articolato in una specie di forcella fissata alla parte posteriore del tasto. E' inoltre presente una meccanica a scappamento perfezionata. Nella meccanica inglese il martelletto è articolato da una barra fissa e lanciato contro la corda da un pilota rigido o che cade in avanti dai meccanismi a scappamento, ritto sulla parte posteriore del tasto e che spinge la noce del martelletto. Poiché  tale noce si trova vicino all'asse,  la percussione avviene con uno slancio sensibilmente più grande che nel meccanismo viennese. Grazie al movimento di rimbalzo verso la parte anteriore verso la parte anteriore del pulsante, il martelletto, il martelletto può, dopo l'attacco, ricadere nella sua posizione di partenza. 

VARI TIPI DI PIANOFORTE

Per i primi vent'anni dopo la sua scoperta tutti i pianoforti costruiti erano a coda. Ad un altro italiano, rimasto fino a non molti anni fa sconosciuto spetta il merito d'aver ideato il primo pianoforte verticale: Don Domenico Del Mela prete e maestro elementare a Garigliano nel Mugello, che ne costruì uno nel 1739. Si tentarono anche altre forme, come quella del pianoforte quadrato o a tavolino, ma in definitiva, le sole due forme del pianoforte a coda e del pianoforte verticale rimasero.

Costituzione esterna

Le parti principali che costituiscono il pianoforte sono: La cassa esterna, che comprende il coperchio, il Fondo, le fasce, le gambe, e , nei pianoforti verticali, il cancello , la tavola armonica , sulla quale stanno distese le corde, le sbarre che sostengono la tavola armonica e la collegano alla cassa, le corde che sono attorcigliate ai piroli conficcati nel pancone e che sono disposte orizzontalmente nei pianoforti a coda, perpendicolarmente nei pianoforti verticali. Le corde che in passato erano di ferro e anche di ottone, si producono oggi in acciaio,quelle delle note basse sono fasciate con filo di rame. Esse sono uniche nei bassi, di fronte a ogni tasto, duplici nelle note centrali e triplici nelle acute; 

   la meccanica che comprende i martelletti e gli smorzatori, gli uni e gli altri con le capocchie infeltrate e i primi , più o meno complicati, secondi diversi sistemi, ma sempre forniti di scappamento. I martelletti e gli smorzatori hanno naturalmente moto contemporaneo ed inverso, su e giù e viceversa nei pianoforti a coda, avanti e indietro e viceversa nei verticali; 

 

la tastiera , che comprende tasti bianchi in osso o in avorio per le note naturali e tasti neri in ebano per le note naturali.

    L'estensione normale della tastiera è di sette ottave da LA a LA, ma talvolta comprende due tasti in più negli acuti. Per conseguenza i tasti bianche sono 50 o 52 e i neri 35 o 36 ; i Pedali, che abitualmente sono due, comunemente chiamati Pedale del forte e Pedale del piano, ma che , in realtà, oltre allo scopo di accrescere e diminuire la sonorità, hanno quello di legare e fondere i suoni: tant'è vero che possono adoperarsi anche contemporaneamente.

LA MECCANICA

 pianoforte diritto

Il disegno qui sopra rappresenta la meccanica del pianoforte diritto secondo Renner: Le parti mobili sono tratteggiate: Le linee a zig-zag, rappresentano tutte le parti ricoperte di feltro.

Il pilota (22) trasmette il movimento d'attacco al tallone del cavalletto(3), una leva articolata, a sinistra del disegno, sulla quale è montata la forcella di scappamento. Sopra questa forcella è articolato lo scappamento mobile a due bracci (5) di cui il più lungo, verticale, trasmette il movimento alla noce (11). Sotto l'effetto della spinta, il martelletto (15) è portato a circa 2 mm dalla corda, poi liberato quando lo scappamento, incontrando il bottone di scappamento (9), cade verso destra. Il martelletto prosegue liberamente la sua corsa, poi ricade, poiché nel frattempo lo scappamento è passato sopra ed ha ben presto ripreso la posizione iniziale. 

 Poiché il martelletto rischia di rimbalzare in caso di percussione violenta , un arresto (7) fissato al ponticello lo trattiene, al momento della caduta, con il contro-fermo(13)posto sul lato della noce. L'altro pericolo, ossia che il martelletto non ricada, è ovviato da un lato, grazie a una piccola molla a sinistra della noce e dall'altro grazie a una correggia (8) che collega il contro-fermo (13) al ponticello e che tira indietro il martelletto quando si lascia il tasto. Ricordiamo ancora il meccanismo dello smorzatore che funziona anch'esso per mezzo di un sistema di leve ( 16-18) azionate dal ponticello: quando si preme il tasto , lo smorzatore lascia la corda, quando lo si abbandona la pressione di una molla lo riporta contro la corda.    L'escursione del martelletto, ossia della distanza corda-martelletto, è normalmente di 45-50 mm.

 

Il PIANOFORTE A CODA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo tipo di meccanica, poiché il martelletto si muove verticalmente per percuotere la corda, l'asse di rotazione è molto più grande che nel pianoforte diritto. Il martelletto ricade liberamente senza l'aiuto di molle o di corregge, costituendo un grande vantaggio.  Il secondo importante vantaggio è il doppio scappamento(11). E' articolato su un ponticello(7) e sollevato da quest'ultimo e dallo scappamento(10) quando il tasto viene abbassato, poi fermato, poco prima della liberazione del martelletto, dalla vite di ricaduta (3) in modo che lo scappamento agisce solo sul rullo (5) e quindi sul martelletto, durante l'ultima parte del processo di trasmissione dell'attacco e questo di nuovo come nel pianoforte diritto, fino alla liberazione del martelletto a circa 2 mm dalla corda. Il martelletto ricade sull'arresto dopo la percussione e simultaneamente il rullo preme sul doppio scappamento. se il tasto non è completamente rialzato, il martelletto è leggermente spinto verso l'alto dalla molla del ponticello (12) e lo scappamento prende posto sotto il rullo. Così tutto è pronto per un nuovo attacco prima che il tasto abbia ripreso la posizione iniziale.

   

I PEDALI

l'invenzione dei pedali risale al 1780, quando la celebre casa pianistica francese degli ERARD 

meccanica Erard

tentò di introdurli in sostituzione di quei registri che servivano ad imitare gli effetti dell'arpa, del mandolino, del fagotto etc. Al giorno d'oggi i pedali sono solitamente due e sono chiamati pedali del FORTE e pedale del PIANO.  Il pedale del forte agisce nello stesso modo, sia nei pianoforti a coda che nei verticali. Per ben comprendere il suo funzionamento è necessario pensare che ogni volta che si preme un tasto un martelletto va a percuotere la corda ed il relativo smorzatore se ne allontana. Ora il pedale del forte funziona appunto con l'allontanare contemporaneamente dalla cordiera tutti quanti gli smorzatori in modo che le corde restano libere e continuano a vibrare , producendo quei suoni concomitanti  detti "armonici" che accompagnano sempre ogni suono fondamentale e ne prolungano la risonanza. Quanto al pedale del piano, esso può costruirsi con diversi sistemi e funziona in differente modo nei pianoforti a coda e in quelli verticali. Nei primi si usa abitualmente il così detto " PEDALE UNICORDO" che sposta la tastiera da destra a sinistra e fa quindi sì che i martelletti percuotano una corda invece che due, o tre nelle note centrali e acute, e parte dell'unica corda grossa nei bassi. Dall'uso di questi pedali si ottiene una maggior debolezza del suono; nella musica l'uso del pedale unicordo è indicato con la dizione:  " una corda".

 Nei pianoforti verticali (pure adoperandosi talvolta il pedale unicordo) furono di più frequente uso il pedale celeste ed il pedale a ravvicinamento. Il primo interpone fra i martelletti e le corde una benda di feltro, in modo che i martelletti battano su questa invece che direttamente sulle corde, onde il suono rimane notevolmente attutito. Questo sistema peraltro è oggi pressoché abbandonato e rimane soltanto per la cosiddetta "sordina" , in virtù della quale il suono si affievolisce al massimo grado,nel solo scopo di esercitare le dita senza recar fastidio ai vicini. L'altro sistema, più comunemente adottato è quello del pedale a ravvicinamento che , avvicinando in precedenza i martelletti alle corde, diminuisce la loro corsa e quindi la forza della percussione. L'introduzione dei pedali nella loro formazione attuale avvenne nel 1780.  Perciò molti autori come Scarlatti, Haendel e Bach, vissuti nell'epoca del clavicembalo e o del pianoforte rudimentale, non li hanno conosciuti , né potuti usare. Altri autori, vissuti nel periodo di transizione, come Dussek, Haydn, Mozart, Clementi, li conobbero solo per alcuni anni della loro vita e li utilizzarono solo nelle loro ultime composizioni. Da Beethoven in poi, tutti  li conobbero e li  utilizzarono, anche se con parsimonia. Lo stesso Beethoven nelle sue composizioni, ne fa un uso poco frequente. Più tardi Mendelsshon fu tra i primi a farne ingegnosissime applicazioni, che i successivi compositori pure adottarono anche se per scopi puramente artistici, mentre alcuni altri , come Liszt, ne spinsero l'uso fino al limite estremo.

 

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